Fabrizio Terenzio Gizzi è ricercatore presso l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPC-CNR). Studia gli effetti prodotti dai pericoli naturali e pericoli antropici sul patrimonio costruito per sviluppare strategie di mitigazione dei rischi. Si occupa anche di analisi diagnostiche non invasive e di monitoraggio dei beni culturali per la conservazione e il restauro. Nell’ambito del progetto Heritage Smart Lab è coordinatore per conto del CNR di un gruppo di attività insieme all’impresa Digimat: Monitoring Basilicata Heritage ha l’obiettivo di sviluppare protocolli operativi, produrre innovazione tecnologica per la conservazione, sicurezza, valorizzazione e gestione dei beni artistici, architettonici e archeologici della Basilicata.
Ci presenta in breve la panoramica di azioni che coordina e in che senso queste possono supportare le decisioni sulla conservazione del patrimonio culturale materiale?
Heritage Smart Lab prevede la partecipazione di diversi attori: CNR, Università della Basilicata, ENEA ed imprese socie del Cluster Basilicata Creativa. L’obiettivo generale è la sperimentazione e l’innovazione tecnologica. In particolare, il gruppo di azioni che coordino riguarda l’ambito della conservazione, valorizzazione, sicurezza e gestione del patrimonio culturale.
Stiamo lavorando per sviluppare e validare prototipi finalizzati a monitorare vari aspetti. Per esempio, oggetto di studio sono i fenomeni di degrado del patrimonio artistico, i rischi naturali ed antropici associati ai monumenti e ai siti di interesse archeologico, l’ubicazione in tempo reale dei beni artistici per la loro protezione e gestione in conseguenza di eventi naturali estremi. Contribuisce allo scopo della conservazione dei beni artistici il monitoraggio delle presenze turistiche per valutarne l’impatto sul microclima in ambienti chiusi come musei e chiese. Attraverso l’uso di nuove tecnologie, si indaga anche il comportamento dei visitatori nei luoghi d’arte, funzionale ad ottimizzare l’esposizione museale.
Ci descrive nello specifico quali sono gli oggetti di studio delle attività?
Lo smart lab Monart prevede lo sviluppo di un sistema di monitoraggio integrato, ambientale e microclimatico sia nelle chiese rupestri sia nei musei. Abbiamo per ora implementato il sistema in Santa Lucia alle Malve e da poco iniziato a lavorare presso i Musei Lanfranchi e Ridola, a Matera. È prevista anche un’implementazione presso la Chiesa rupestre di Santa Margherita a Melfi.
Il secondo smart lab, Tour impact, intende valutare l’influenza delle presenze turistiche integrando dati microclimatici e dati relativi ai flussi di visita. Lo studio è iniziato a metà 2022 e proseguirà almeno fino alla fine del 2023. Prevediamo di registrare i primi risultati significativi nei prossimi sei mesi.
Il terzo smart lab, Share art, consiste nello sviluppare un sistema di localizzazione che analizzi il comportamento dei visitatori nei luoghi d’arte: capire come si comporta quando osserva un’opera d’arte, studiando cioè quanto tempo sosta ad osservare l’oggetto e su quali aspetti dell’opera punta particolarmente l’attenzione. Tutto questo è funzionale a ottimizzare l’esposizione museale e quindi a valorizzare il bene culturale.
Il quarto smart lab, Track art, sta lavorando allo sviluppo di un sistema per la tracciabilità delle opere d’arte mobili, per la loro protezione e gestione in situazioni di emergenza, come quelle che si verificano dopo terremoti, frane e alluvioni.
Il quinto smart lab, Diagnosis, prevede lo sviluppo di un protocollo operativo con la redazione di linee guida per l’analisi e la mitigazione del rischio sismico delle chiese, con particolare riferimento alle strutture architettoniche snelle, come i campanili. Stiamo studiando le torri campanarie delle Cattedrali di Melfi, Rapolla, Tricarico e Matera. Mentre i primi smart lab riguardano lo sviluppo di sistemi tecnologici, qui il focus è sul protocollo operativo. In questi casi studio integriamo dati sperimentali, fonti storiche e modelli numerici. Fa parte sempre di questa azione un’altra attività mirata allo studio geologico e geotecnico delle catacombe di Venosa, per analizzare la stabilità del sito sia in condizioni ordinarie sia in caso di carico sismico.
Il sesto smart lab, Resource for Archaeology, riguarda la messa a punto di un protocollo operativo per integrare e fondere dati eterogenei quali dati ambientali, geofisici e archeologici, nella direzione dell’archeologia preventiva, dello scavo archeologico, della gestione e pianificazione territoriale.
L’ultimo, il settimo smart lab, He-Main, è particolarmente interessante perché prevede lo sviluppo di una piattaforma tecnologica per raccogliere e integrare dati eterogenei, con la possibilità di consultarli e analizzarli per fornire un supporto concreto alle decisioni che riguardano la manutenzione programmata dei beni culturali.
Qual è il contributo specifico delle imprese coinvolte e degli enti di ricerca?
Gli enti di ricerca si occupano dell’analisi dello stato dell’arte tecnico-scientifico, definiscono le tematiche scientifiche aperte e quali possono essere le prospettive future di ricerca, i requisiti che devono soddisfare i prototipi (per esempio, i parametri ambientali da monitorare all’interno del Museo, le soglie di attenzione, la frequenza con cui i dati devono essere rilevati e registrati, la tipologia del sensore, la sua precisione, accuratezza e risoluzione). Dunque, le proprietà e le variabili da misurare. Fondamentali poi sono la validazione e la sperimentazione delle nuove tecnologie e dei protocolli operativi, i due output principali. Il ruolo delle imprese ha a che fare con lo sviluppo di tecniche e tecnologie per l’acquisizione, l’archiviazione e la catalogazione dei dati, lo sviluppo di sensori innovativi, la definizione di algoritmi, la progettazione e sviluppo di architetture software e hardware dei prototipi per la raccolta e la gestione dei dati. Lo Smart Lab permette un’interazione costante tra enti di ricerca e impresa, in uno scambio continuo tra necessità di ricerca e necessità tecnologiche.
Che cosa si aspetta in generale come risultato in termini di processo e di consolidamento del gruppo di lavoro?
La metodologia del progetto è lo Smart Lab, un importante spazio di incontro e ascolto, di relazione tra enti di ricerca, imprese, società civile e istituzioni. È soprattutto un’occasione per formulare una collaborazione permanente. È un campo di azione, un laboratorio che si proietta sul medio termine, per creare una visione strategica di sviluppo del settore culturale e creativo nel lungo periodo. Da questo punto di vista, il patrimonio culturale consente di pensare fuori dagli schemi perché è fonte importante di creatività per l’innovazione. Il ricercatore si pone domande nuove quando si relaziona con imprese e patrimonio culturale. Per esempio, nel caso dello smart lab 4, la necessità di garantire la sicurezza e la tutela delle opere d’arte in conseguenza del verificarsi di pericoli naturali ha stimolato l’ideazione di un sistema tecnologico integrato con il bene artistico. Il quesito di sicurezza si trasforma in questo modo in quesito di innovazione.
Il beneficio per gli enti di ricerca si misura quindi in un effetto moltiplicativo, con lo sviluppo di una visione integrata e applicata della ricerca: il ricercatore si pone contemporaneamente quesiti scientifici ma anche tecnologici, trasferiti alle imprese in direzione dell’innovazione.
La società civile come partecipa a questo panorama di innovazione? C’è già stata un’azione sinergica in questo senso?
All’interno degli smart lab si sviluppano prototipi per dare l’input alle imprese verso l’industrializzazione del prodotto, per creare innovazione, senza dimenticare che lo scopo è anche offrire a chi è beneficiario finale come Comuni, Sovrintendenza, Enti di gestione questi strumenti per la conservazione, gestione e valorizzazione dei beni culturali. I beneficiari generali sono gli enti territoriali e i cittadini. Il coinvolgimento dei Comuni e dei cittadini è una proiezione graduale che si ottiene condividendo in maniera costante (e trasversale a tutte le azioni di Heritage Smart Lab) lo stato di avanzamento delle attività, per sviluppare la consapevolezza della necessità di un atteggiamento proattivo rispetto alle azioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
Come le azioni del Monitoring Basilicata Heritage si intersecano con le altre attività di Heritage Smart Lab?
Oltre che nella condivisione della metodologia dello smart lab, come auspicato dalla strategie S3 a livello europeo, il progetto si collega a sei delle sette traiettorie tecnologiche previste per le Industrie culturali e creative. In particolare, il nostro gruppo di azioni si collega a due traiettorie tecnologiche, comuni in parte anche al Living Basilicata Heritage. Tavoli di lavori incrociati sono poi stabiliti per scambi di esperienze relative alla realizzazione di omologhe tipologie prototipali sia all’interno di Monitoring Basilicata Heritage sia per le attività progettuali complessive.
Com’è costituito il gruppo di lavoro in termini di competenze multidisciplinari?
La trasversalità è l’anima fondamentale di questo progetto.
Nel nostro caso, lavorano insieme ingegneri, geologi, archeologi, fisici, informatici, storici, esperti in conservazione dei beni culturali. Le fonti storiche dialogano con la tecnologia e i dati derivanti dal monitoraggio. L’informazione storica è un elemento fondamentale in particolare nello smart lab 5, in cui analizziamo gli effetti prodotti da terremoti del passato sui campanili, correlando l’analisi delle fonti documentarie con i dati sperimentali rilevati o le modellazioni numeriche che si andranno a sviluppare. Si integrano tutti questi dati – storici, numerici, sperimentali – per ottenere un protocollo operativo e in generale delle linee guida per la mitigazione del rischio sismico.